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FRASI INFELICI PER GENITORI ADOTTIVI

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Per scherzo ma neanche tanto, ho pensato di mettere in ordine sparso 10 frasi/domande  che i genitori adottivi si sono sentiti rivolgere. Sono tutte rigorosamente  vere.

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Perché parlarne? Certe espressioni purtroppo fanno parte del pacchetto di ignoranza  che ancora circonda il mondo dell’adozione. Allora ripercorrerle sia che il bambino sia già con noi, sia che la coppia lo stia ancora aspettando, diventa un allenamento immaginare i passi da fare per insegnare agli altri cosa sia essere una famiglia adottiva, possibilmente senza arrivare al sarcasmo e senza aggressività.

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1. “DOVE SONO I SUOI VERI GENITORI?”

I veri genitori sono quelli che crescono un figlio, non basta mettere al mondo per diventare padre o madre. Questa verità semplicissima però non è sempre evidente.Una frase del genere può riaprire vecchie ferite in un momento di fragilità del genitore adottivo, magari in un periodo in cui il bambino attiva comportamenti di rifiuto e il genitori fatica a sentirsi “vero”.

Risposta top: “ io sono qui, mio marito è in cucina..”

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2. “QUANTO LO AVETE PAGATO?”

I costi dell’adozione internazionale sono sempre al centro di scandali e diatribe, anche a causa dell’operato poco trasparente di alcuni Enti. In realtà i costi molto alti, sono purtroppo oggettivi e direttamente collegati al costo delle procedure e sono verificabili. Le coppie adottive sanno tutto questo e qualche volta decidono di trovare il tempo di spiegare per filo e per segno in cosa consistono questi costi. Tuttavia la parte più incisiva di questa frase, non riguarda solo il vile denaro mala costruzione di storie immaginarie in cui i genitori adottivi hanno rapito e comprato il bambino, sia nel figlio che ha sentito la domanda, sia in chi in buona o malafede l’ha posta.

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3.“PERCHE’ NON GLI DATE UN NOME ITALIANO?”

Per qualcuno dare un nome italiano è un regalo che i genitori dovrebbero fare, come se la scelta del nome rendesse il bambino maggiormente loro figlio e lo facesse somigliare di più a un figlio biologico a cui i genitori danno il nome. Invece la maggio parte delle coppie sa che il regalo migliore da fare al bambino è garantirgli il rispetto per le sue origini e il processo di filiazione passa da altre parti. Ultimo ma non ultimo..dare un nome italiano permette di far sentire il bambino in qualche modo mimetico e assimilato. Nascondere le origini e assimilare ha poco a che fare con l’adozione.

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4.“SIETE STATI PROPRIO BRAVI. AVETE FATTO UNA BUONA AZIONE”

Diventare genitori non è una buona azione. Questo lo sanno tutti i genitori. Diventare genitori ha a che fare con il desiderio, ci vuole una buona dose di incoscienza e coraggio. Vale per tutti indipendentemente da come arriva un bambino in famiglia. La buona azione è quella di far attraversare la strada alla nonnina o mandare i soldi ad un villaggio lontano per contribuire allo sviluppo di una comunità.

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5. “CHE BAMBINO FORTUNATO, HA AVUTO QUATTRO GENITORI”

A volte ci si sforza di trovare del buono anche negli eventi difficili. Per questo si dice che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Nessun bambino spontaneamente si augurerebbe di avere quattro genitori perché questo significa aver avuto a che fare con lutto, dolore e perdita. Ammantarlo con un significato positivo significa non riconoscere la parte più difficile che il bambino ha dovuto affrontare.

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6. “CON TUTTO QUELLO CHE AVETE FATTO PER LUI..E’ PROPRIO UN INGRATO”

Questa frase si collega direttamente a quella della buona azione. Ci si aspetta gratitudine per un buona azione. Ma nessun figlio dovrebbe essere grato perché è figlio.Un figlio adottivo trascorre una fase della propria esistenza nel tentativo di compiacere i genitori adottivi, per ringraziarli in qualche modo di averlo scelto e per non essere di nuovo lasciato. Poi quando il legame diventa sufficientemente saldo finalmente può permettersi di fare il figlio. I genitori adottivi in genere sono felici di arrivare a quella fase, anche se è sicuramente faticosa.

 

7. “SONO FRATELLI VERI?”

Anche in questo caso ci si appella alla genetica per capire se due persone hanno un legame di parentela. Invece l’adozione prescinde dalla genetica e si può diventare fratelli “veri” perché si ha una relazione fraterna. E’ una fatica in più che affrontano i genitori che adottano i propri figli con adozioni successive, ma anche quelli che conoscono i propri figli in contemporanea.

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8. “NON PUOI CAPIRE TU NON SEI UN GENITORE”

Frase udita nel corso di una discussione sulle tematiche educative. Rivela tutta la fatica che ancora fanno molte persone nel pensare che non esiste solo la genitorialità biologica. Per alcuni genitori adottivi significa riattivare il lutto per la genitorialità che non c’è stata. Se una frase del genere ferisce nel profondo forse ci sono ancora dei nuclei di sofferenza che tengono in sospeso la propria genitorialità.

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9.  “MEGLIO ADOTTARLI DA PICCOLI COSI’ NON SI RICORDANO E NON SOFFRONO”

Non è solo la quantità di ricordi a determinare la sofferenza. E’ il modo in cui al bambino è data la possibilità di affrontarli ed elaborarli. Un bambino adottato alla nascita che non ha la possibilità di chiedere o domandare della sua storia dentro la pancia della mamma biologica perché sente che le domande non sono ben accette, non soffre meno di un bambino che ha dovuto vivere in istituto qualche anno, cambiando figure di riferimento.In questa frase c’è tutto il desiderio, spesso del contesto che circonda i genitori adottivi ,di cancellare la storia adottiva e fare come se…non ci fosse stato un passato da affrontare, lungo o corto che sia.

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10. “MA CON TUTTI I BAMBINI CHE CI SONO IN ITALIA PERCHE’ SIETE ANDATI ALL’ESTERO?”

..magari a prendere un bambino di un altro colore. L’aggiunta è mia ma a volte il sottintesoè piuttosto evidente. Vale la pena spiegare che il proprio figlio non era in Italia ma in un altro Paese? Sì.

Non si tratta di scelta, nessuno sceglie il proprio bambino, si tratta di arrivare da lui. Per qualcuno vuol dire rimanere nella stessa Regione, per qualcuno si tratta di attraversare l’Italia, per qualcuno significa arrivare oltre l’oceano perché incontrare ilproprio bambino bisognava arrivare fino là.

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Questa domanda evoca i cataloghi pubblicitari, o le pagine di Amazon..scegliere il bambino più adatto dalla vetrina. Spiegare che non è così e che c’è una strada in qualche modo già scritta serve a mettere un altro tassello del puzzle della conoscenza.

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